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Roma, 16 novembre 1996. Carla Tanzi saluta Fidel Castro in occasione della sua visita in Italia per il vertice mondiale sull’alimentazione alla FAO.

Volente o nolente, Minà è sempre stato circondato da donne. Da ragazzino, accudito dalla madre e dalla nonna, che vegliavano sui tempi dilatati di un bambino a cui piaceva prendersi il suo tempo. Nelle sue redazioni, professioniste potenti che hanno contribuito in maniera determinante al successo dei suoi programmi televisivi o alle sue vittorie editoriali più significative. Penso a Laura Grandi, la sua agente letteraria, o ad Antonella Bonamici, sua editor, che non ha mai smesso di rincorrerlo quando si trattava di ricontrollare le ultime bozze dei libri della sua collana Continente desaparecido, edita dalla Sperling&Kupfer.

Ed è proprio nel campo dell’editoria che per me è importante ricordare Carla Tanzi. Tanzi è stata una di queste intellettuali di temperamento, per molti anni alla Sperling&Kupfer, di cui Minà apprezzava la capacità decisionale, l’etica e la chiarezza di spirito, che gli permisero, di fatto, di realizzare il sogno di pubblicare una collana di saggi sull’America Latina. Una collana, quella del Continente desaparecido, che nella prima decade del Duemila rispecchiava il risvegliarsi dell’orgoglio culturale e politico di popoli in cerca di identità e riscatto.

Quel momento magico e libertario che aveva riempito di speranza il continente latinoamericano sembra tramontato, ma in Italia è rimasta l’eco del lavoro che operatori culturali come Carla, tra i primi, hanno saputo svolgere per far conoscere l’anima di “Nuestra grande America”, così come Che Guevara chiamava le terre a sud del Texas. In pochi anni, seguendo l’esperienza della rivoluzione cubana e della letteratura e della saggistica latinoamericana, Carla riuscì a trovare le risorse per dare uno spazio a queste voci. Non tanto per accontentare Minà, ma per sottrarre dall’oblio italiano quel patrimonio dell’umanità rappresentato da combattenti che tentavano di cambiare la pelle del continente: l’ex presidente venezuelano Hugo Chávez, l’uruguaiano José “Pepe” Mujica e il brasiliano Lula Da Silva, oltre che scrittori come Gabriel García Márquez, Luis Sepúlveda, Francisco Coloane, Paco Ignacio Taibo II e lo spagnolo Manuel Vázquez Montalbán.

Ci voleva intuizione e coraggio per trasformare in Italia questo esercito in una realtà culturale, e soprattutto per competere con la potenza di case editrici molto più poderose e spesso terrorizzate di pubblicare questi “sovversivi”. Ma Carla Tanzi fece di più. Forte delle esperienze fatte alla Longanesi, alla Fabbri e alla Bompiani sentì che era arrivato il momento di occuparsi del mondo, lei che agiva già come rappresentante di Umberto Eco.

Mario Spagnol, forse il più creativo operatore dell’editoria italiana, le aveva offerto di dare vita ad una collana che avrebbe finanziato in prima persona, ma Carla si sentiva invece matura per accettare la proposta che aveva ricevuto dalla Sperling & Kupfer, in quanto per lei era arrivato il momento di fare la publisher. È lì che Minà la trovò in un momento difficile, nel momento in cui era venuto a mancare improvvisamente Tiziano Barbieri, storico editore della casa editrice, e tutto sembrava finito. Carla però non si dava mai per vinta e la sua tenacia le permise, quasi sempre, di vincere.

Fu così che il testimone passò nelle sue mani e in quelle dell’amministratore delegato Giuseppe Baroffio, e sopravvisse alla perdita della genialità di Barbieri. Non dimenticò la vocazione narrativa della Sperling&Kupfer, tenuta in piedi da scrittrici popolari come Toni Morrison — Nobel per la letteratura nel 1993 — e Sveva Casati Modigliani, ma fece convivere questo DNA con quello degli autori latinoamericani, facendoli coesistere nel mercato italiano.

E’ così che nasce la collana diretta da Minà, Continente desaparecido, il continente scomparso, i cui libri sono catalogati in archivio. La collana ha avuto l’onore di pubblicare quasi tutta la produzione di Eduardo Galeano, coscienza critica del continente, oltre che le testimonianze di resistenti o autori di opere di denuncia come Rigoberta Menchù, il Subcomandante Marcos, il presidente indigeno boliviano Evo Morales, i teologi della Liberazione Leonardo Boff e Frei Betto, fino ad arrivare a Che Guevara e al suo compagno di viaggio e di avventura Alberto Granado.

Minà riuscì a portare Carla Tanzi anche alla Fiera del Libro de La Habana. Il viaggio fu anche l’occasione di conoscere da vicino il fenomeno di una struttura come la Casa de las Americas, voluta dallo stesso Guevara, che dal giorno della vittoria della Rivoluzione ne avevo sancito lo status di baluardo di arte, letteratura e cultura latino-americana. Senza risorse, ma con tanta fede. In quella circostanza, che vedeva premiata la letteratura italiana con la presenza di intellettuali come Dacia Maraini e Valerio Massimo Manfredi, Carla Tanzi partecipò con curiosità ed entusiasmo, consapevole di sfiorare un pezzo di storia. Lo stesso atteggiamento affascinato che l’aveva contraddistinta a Roma quando, ad un ricevimento della FAO insieme a Stellina Barbieri, aveva potuto scambiare alcune parole con Fidel Castro.

Ma la donna che Minà amava definire la più importante di tutte è stata la sua governante, Maria Gagliarducci, la sua “tata”, come affettuosamente l’ha sempre chiamata.  Maria Gagliarducci accoglieva tutti, indistintamente, con la stessa genuinità d’animo. E soprattutto, rispondeva al telefono. Due telefonate rimangono ricordi indelebili: una di Bob, Robert De Niro, che con lei parlava italiano, e la ascoltavo mentre raccontava all’attore italoamericano cosa aveva fatto per cena “al dottore”, annotando la telefonata con “Bob da 9 Iorc” e la telefonata con Sonia, a cui dava del tu: “Ciao So’, sì, sto stirando per il dottore. No, non te lo passo perché sta riposando. Ti chiamerà lui”. Era Sonia Braga, l’attrice brasiliana di Donna Flor e i suoi suoi mariti, tratto dall’omonimo romanzo di Jorge Amado.

Maria Gagliarducci, la “tata” di Minà, ritratta ad una delle sue cena di compleanno

Maria l’aveva scelta tanto tempo prima la signora Checchina, Francesca Impallomeni, la mamma di Gianni, perché era una persona che le infondeva fiducia. E aveva avuto ragione. Maria era una garanzia, una donna forte e sicura. Minà teneva in massima considerazione i suoi giudizi sulle persone che frequentava, perché non sbagliava mai. Ma la cosa più spassosa di Maria era la schiettezza nel trattare tutti in egual maniera, da Luca di Montezemolo all’idraulico, a prescindere dal loro status sociale.

Minà amava molto Maria e le è sempre stato grato. Nella sua semplicità, ma soprattutto nella sua arguzia, forniva le chiavi per conoscere e apprezzare le persone per la loro umanità.

In quelle lunghe ore passate insieme ad aspettare Gianni, mi raccontava della sua vita, di suo figlio Sandrino e dei suoi numerosi nipotini: la sua famiglia era il suo mondo e non se lo dimenticava mai. Ottima comunicatrice e rapida risolutrice di problemi, soprattutto al telefono, quando doveva coprire Gianni per i suoi ritardi cronici. Una donna che oggi si definirebbe di altri tempi, ben salda nelle sue radici, ma moderna. Non si scandalizzava di nulla, se non della disonestà altrui.

In questo archivio digitale c’è posto anche per lei, perché nel descrivere il mondo di Gianni Minà, Maria Gagliarducci è stata una delle persone più influenti nelle scelte umane e professionali del giornalista.

Ricetta delle polpette di “Sora Marì” tratta da “L’Atlante Goloso”, a cura di Laura Grandi e Stefano Tettamanti.

“L’Atlante Goloso”, a cura di Laura Grandi e Stefano Tettamanti, al cui interno viene raccolta la ricetta delle polpette di Maria Gagliarducci.

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